“Staffetta azzurra” perché fece parte degli “azzurri” cioè della brigata “Valtoce”. Il padre di Ester, ingegnere chimico, è direttore della “Rumianca” di Pieve Vergonte. Ed è proprio il padre, antifascista, nell'estate del '44 a coinvolgere la figlia, allora studentessa del liceo, nelle azioni di staffetta per il contatto con i gruppi partigiani azzurri della “Brigata Valtoce”, seguendola, aiutandola e consigliandola. All'epoca dei fatti Ester aveva 16 anni. La ragazza non imbraccia il mitra; a lei spetta il pericoloso compito di staffetta di collegamento fra le bande distribuite in montagna: aggirare posti di blocco in bici e recapitare messaggi orali o scritti. Durante quell'inverno del '44 arriva la fame e Ester viene mandata alla ricerca di cibo: ciò le permette di avere un alibi per le sue scorribande da staffetta senza dare troppo nell'occhio. Conosce una signora, sfollata da Milano, che le fa avere i contatti a Ornavasso, che raggiunge spesso da Vogogna, dove la famiglia possiede una casa e dove lei risiede assieme a due ufficiali repubblichini. È orgogliosa per la fiducia che gode e conscia della gravità del compito affidatole: conosce il quartier generale partigiano in Val Strona, dove incontra Barba con cui concorda un piano secondo le direttive date dal padre. Alla fine della guerra gli viene consegnato il brevetto partigiano firmato dal generale Alexander. Ha scritto il libro “Staffetta Azzurra” (edito Mursia) in cui racconta le sue imprese e le sue emozioni giovanili.