Lo svolgersi della Resistenza in Ossola dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945
La Resistenza in Ossola iniziò dopo l'8 settembre 1943, con la nascita dei primi gruppi di patrioti e antifascisti, fra questi personaggi anche assi diversi fra loro come Ettore Tibaldi, primario ospedaliero, e Silvestro Curotti, artigliere alpino sbandato dopo l'armistizio.
Da questi nuclei ed altri si svilupparono poi le prime formazioni partigiane e tra queste la "Valdossola", la "Valtoce", la "Piave", la "Beltrami" e le "Garibaldi".
L'8 novembre 1943 scoppiò l'insurrezione di Villadossola, duramente soffocata dai nazifascisti.
Il 13 febbraio 1944 si combatté la battaglia di Megolo in cui cadde con molti suoi partigiani il capitano Filippo Maria Beltrami, uno degli iniziatori della lotta nell'alto novarese.
Nel giugno del 1944, contro le sempre più attive formazioni partigiane venne lanciato un imponente rastrellamento, che interessò la Val Grande.
Dopo il colpo subito, la Resistenza ossolana riprese a contrastare l'avversario arrivando, il 9 settembre 1944, a liberare anche Domodossola, centro principale della zona libera poi denominata "Repubblica dell'Ossola". Fu costituita una Giunta Provvisoria di Governo composta da civili, che affrontò non solo i problemi contingenti, ma anche altri relativi ad argomenti e settori di rilevanza nazionali, proiettati nel futuro postbellico. Con una massiccia offensiva nazifascista, nella seconda metà di ottobre del 1944 l'Ossola venne rioccupata, ma anche successivamente proseguì la lotta armata da parte delle formazioni partigiane rimaste in zona o rientrate dalla Svizzera.
La definitiva liberazione dell'Ossola, nel corso della quale venne anche salvato da sicura distruzione il tunnel del Sempione, ebbe luogo il 24 aprile del 1945, con il ritiro verso sud dei reparti tedeschi e della RSI.
L'insurrezione di Villadossola
A Villadossola, cittadina industriale all'imbocco della Valle Antrona, l'8 novembre 1943 ebbe luogo una delle primissime insurrezioni contro l'occupante tedesco e la neocostituita Repubblica Sociale Italiana, duramente repressa con diverse vittime, fra morti in combattimento, civili colpiti dal bombardamento aereo e fucilati.
Già da fine di ottobre 1943 alla Pianasca, alpeggio sopra Villadossola, si ritrovarono militari sbandati e vecchi antifascisti, che vi raccolsero le armi reperite fortunosamente nella fase iniziale della resistenza ossolana in zona.
Alla guida di Redimisto Fabbri, l'8/11/1943 gli insorti occuparono i punti strategici della cittadina e gli stabilimenti industriali, respingendo inizialmente gli attaccanti che impiegarono pure un treno blindato. La preponderanza delle forze nazi-fasciste impegnate nel contrattacco, che utilizzarono anche alcuni aerei per bombardare le posizioni partigiane, ebbe poi il sopravvento sugli insorti ed iniziò una fase di repressione con arresti, seguiti anche da condanne a morte, e fucilazioni avvenute a Pallanzeno.
La sala consigliare del Municipio di Villadossola - che nel decennale dell'insurrezione venne insignita dall'ANPI di Medaglia d'Oro al merito partigiano - è intitolata alla storica data dell'8/11/1943.
A ricordare le vicende storiche di Villadossola nel periodo resistenziale è stata allestita a cura della locale sezione dell'ANPI una sala storica con oggetti e documenti.
Deportazione
Numerosi furono coloro che per aver preso parte alla Resistenza, oppure perché perseguitati razziali, o ancora semplicemente per essere stati catturati durante un rastrellamento, finirono deportati nei lager che il nazismo aveva creato in Germania e nei territori occupati.
Tra i primi deportati vi furono alcuni dei membri della "banda Libertà", sorta a Domodossola dopo l'armistizio e qualche partecipante all'insurrezione di Villadossola dell'8/11/1943, seguirono durante il conflitto le deportazioni di antifascisti, partigiani e di giovani che sfuggivano ai bandi della RSI.
A settembre era stata fatta scomparire a Mergozzo la famiglia ebrea dei Covo-Arditi, mentre a metà dicembre del 1943 furono catturati i sette componenti della famiglia ebrea Ravenna, tutti provenienti dalla città di Ferrara, dopo che le guardie di frontiera svizzere li avevano respinti al confine, mentre a fine mese analogo destino toccò ai cinque membri della famiglia Hasson, anch'essa israelita. Tutti furono prelevati dai tedeschi e deportati nel campo di sterminio di Auschwitz dove morirono.
A questi si aggiungono i circa 400 ossolani delle tre Forze Armate catturati dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e deportati come Internati Militari Italiani; di essi una sessantina non tornarono, dichiarati morti o dispersi.
Battaglia di Megolo
Viene ricordato con il nome di "Battaglia di Megolo" lo scontro a fuoco verificatosi poco sopra la frazione pievese di Megolo mezzo, al Cortàvolo, il 13 febbraio 1944 quando si fronteggiarono un forte contingente di truppa tedesca ed fascista e la formazione partigiana del capitano Filippo Beltrami, una delle prime sorte fra Cusio ed Ossola.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Filippo Beltrami era riparato a Quarna dove aveva creato un primo gruppo partigiano, subito distintosi per le azioni contro l'occupante e a cui successivamente si aggiunsero i fratelli Alfredo Di Dio e Antonio Di Dio con i loro uomini del "gruppo di Massiola".
Nella battaglia, durata dalle ore 7.00 alle 10.30 e con impiego di armi pesanti da parte dei nazi-fascisti, caddero Filippo Beltrami e altri undici partigiani: Gianni Citterio, Antonio Di Dio, Gaspare Pajetta, Carlo Antibo, Bassano Bressani, Aldo Carletti, Angelo Calvena, Bortolo Creola, Emilio Gorla, Paolo Marino ed Elio Toninelli.
Rastrellamento della Val Grande
La Val Grande e le zone circostanti ospitavano formazioni partigiane come la "Valdossola", la "Giovane Italia" e la "Battisti" contro cui nel giugno 1944 si scatenò l'attacco di diverse migliaia di nazifascisti, con l'appoggio di artiglieria e di aerei.
Vittime dell'operazione "Köeln" - organizzata dal comando SS di Milano - furono anche i molti alpigiani in zona per la monticazione estiva.
Nei circa venti giorni del rastrellamento non si contarono gli eccidi, le violenze, i furti, l'incendio di alpeggi che ospitavano i partigiani.
Numerose le vittime rimaste sconosciute e i dispersi, come tanti giovani lombardi saliti in montagna per sfuggire ai bandi della Repubblica Sociale Italiana e non ancora censiti sui ruolini delle formazioni partigiane. Il rastrellamento segnò profondamente anche il movimento partigiano, uscito quasi distrutto da quella tremenda prova: dopo quei fatti Mario Muneghina si staccò dal "Valdossola" di Dionigi Superti costituendo la brigata "Valgrande Martire".
Ma la macchina da guerra nazifascista aveva fallito: i pochi sopravvissuti, aiutati ancora una volta dagli alpigiani, insieme a nuove reclute partigiane ripresero la lotta e tre mesi dopo i partigiani della ricostituita Div. "Valdossola" - principale obiettivo del rastrellamento di giugno - insieme con gli azzurri della "Valtoce" liberavano Domodossola e nasceva la "Repubblica dell'Ossola".
Salvataggio del Sempione
Negli ultimi giorni di guerra, i comandi tedeschi avevano previsto la distruzione del tunnel ferroviario del Sempione. In un casello della stazione ferroviaria di Varzo erano giunti su treno una sessantina di tonnellate di esplosivo, mentre all'imbocco italiano del tunnel i guastatori aveva avviato i lavori per la collocazione delle cariche, destinate a distruggere il portale sud della galleria, bloccando così i transiti ferroviari sotto le Alpi.
Informati di ciò, le formazioni partigiane operanti in zona ed i servizi segreti svizzeri si attivarono per neutralizzare il pericolo, evitando oltretutto un intervento aereo di bombardieri alleati, che avrebbe annientato Varzo.
Nella notte fra il 21 ed il 22 aprile 1945 mentre alcuni reparti della "Garibaldi" isolavano la Val Divedro per prevenire eventuali azioni dell'avversario, la "Volante Alpina" agli ordini di "Mirko" Ugo Scrittori catturò le sentinelle di guardia, provvedendo al recupero ed alla dispersione sul terreno dell'esplosivo, contenuto in 1500 cassette, che venne poi incendiato.
L'operazione salvò il tunnel da sicura distruzione, consentendo di mantenere i collegamenti ferroviari con la Svizzera e l'Europa, anche in vista della successiva ricostruzione post-bellica.
Formazioni partigiane in Ossola
Oltre alle formazioni partigiane che direttamente effettuarono la liberazione delle vallate ossolane e la Cannobina, ovvero la "Valdossola", la "Valtoce" e la "Piave", quest'ultima costituita dalle bande "Battisti" e "Perotti", operarono nel Verbano-Cusio-Ossola in quel periodo anche altri reparti partigiani, che parteciparono successivamente alle operazioni di difesa della zona libera.
Nella zona del Verbano era attiva la brigata "Valgrande Martire" guidata da Mario Muneghina, mentre nel Cusio operava la Divisione alpina d'assalto "Beltrami" comandata da Bruno Rutto, i cui componenti portavano un fazzoletto verde.
Sui monti dell'Ossola, provenienti dalla limitrofa Val Sesia, si trovavano diversi distaccamenti della 2a Divisione "Garibaldi" - i cui componenti portavano il fazzoletto rosso - ed in particolare la 10a e 83a brigata, nonché il battaglione "Fanfulla" della 15a brigata dislocato nella zona di Anzola-Ornavasso. Figure di spicco delle "Garibaldi" furono il comandante Eraldo Gastone ed il commissario politico Vincenzo Moscatelli.
Da citare poi un reparto autonomo comandato da Pietro Carlo Viglio, dislocato all'alpe Cravariola, divenuto poi l'8a brigata "Matteotti".
La formazione partigiana "Valdossola"
Formazione autonoma costituitasi a Premosello poche settimane dopo l'armistizio intorno a Dionigi Superti, operò nella bassa Ossola e nel Verbano, costituendo per questo il diretto obiettivo del rastrellamento della Val Grande nel giugno 1944. Unitamente alla "Valtoce" ed alla "Piave", liberò l'Ossola e la Cannobina dando il via alla costituzione della "Repubblica dell'Ossola" durata una quarantina di giorni nell'autunno 1944. A seguito del contrattacco nazifascista e ripiegando nella zona di Devero, la "Valdossola" sconfinò quasi al completo in Svizzera, mentre un ristretto numero di suoi uomini, agli ordini del ten. Francesco Zoppis, rimasero in Ossola a continuare la lotta armata fino alla liberazione. La brigata, poi divisione, "Valdossola", aveva come elemento distintivo un fazzoletto verde.
La formazione partigiana "Val Toce"
Formazione autonoma, costituitasi a Ornavasso inizialmente come gruppo "Ossola", nel luglio del 1944 assunse la denominazione di "Valtoce". Ebbe come fondatore e comandante Alfredo Di Dio "Marco", poi caduto a Finero il 12 ottobre 1944, ed a cui subentrò Eugenio Cefis. La "Valtoce", caratterizzata da una rigorosa disciplina militare, operò prevalentemente nella bassa Ossola, in particolare a Ornavasso, e nella zona del Mottarone. Unitamente alla "Valdossola" ed alla "Piave", liberò l'Ossola e la Cannobina dando il via alla costituzione della "Repubblica dell'Ossola" durata una quarantina di giorni nell'autunno 1944. La "Valtoce" nel periodo della liberazione dell'Ossola pubblicò un vivace volantino, stampato su carta azzurra. Successivamente alla fine della "Repubblica dell'Ossola", da questa formazione derivò il Raggruppamento Divisioni Patrioti "Alfredo Di Dio" operante nelle province di Novara, Milano, Varese e Pavia. La brigata, poi divisione, "Valtoce", aveva come elemento distintivo un fazzoletto azzurro e come motto "La vita per l'Italia". Un museo partigiano ricorda la "Valtoce" a Ornavasso.
La formazione partigiana "Piave"
La brigata "Piave", operante nella zona della Valle Cannobina, trae origine dalla fusione di due formazioni già esistenti, ovvero la "Cesare Battisti" sorta nel dicembre del 1943 e posta al comando di Armando Calzavara, nome di battaglia Arca, e la "Generale Perotti" formatasi nel luglio del 1944 con comandante Filippo Frassati, quale unione di due bande già operanti a Trarego e Viggiona.
La "Piave" il 2 settembre 1944 liberò Cannobio, successivamente rioccupata dai nazifascisti, e successivamente la Valle Vigezzo e di qui calando poi a Masera, dove costrinse al ritiro il locale presidio tedesco.
Divenuta divisione "Piave" durante il periodo della "Repubblica dell'Ossola", l'unità partigiana cessa di esistere dopo la caduta della zona libera, mentre Calzavara riorganizza l'originaria formazione "Cesare Battisti" che confluirà poi nell'aprile 1945, insieme alla "Valgrande martire", nella divisione "Mario Flaim".